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Bayonetta, essere zoccola oggi: descrizione

Per la serie “Riscopriamoli”, eccomi a parlare di Bayonetta. Giocai questo gioco circa al day one perché quasi tutti i siti specializzati all’epoca definivano il gioco SEGA (astenersi bimbiminchia) una pura goduria per gli occhi. Non si riferivano solamente alle indubbie qualità da “drizza banane” della protagonista, bensì ad un comparto visivo, siano essi i vivaci colori o le fluide animazioni costanti a 60 fps (requisito che tutti i giochi di questo genere dovrebbero avere) davvero al top della gamma. Come per ogni giocone la mia prima reazione è stata:” Guarda quanto è lurida questa: gioco di merda”. Senza contare i bestemmioni che tirai all’epoca per riuscire a finire il titolo a FACILE. Non riuscivo a capacitarmi di quanto fosse bastardo questo gioco, mi veniva anche da storcere il naso di fronte ad alcune scelte stilistiche a dir poco discutibili, vedi capitolo in moto (dire eterno e noioso è un eufemismo), vedi alcune texture davvero in bassa risoluzione che rovinavano puntualmente il “colpo d’occhio generale”. Finii il titolo senza troppo interesse smadonnando a più non posso e, una volta arrivati ai titoli di coda, ho provveduto subito a vendere il tutto. Ad oggi mi chiedo ancora perché non avessi spezzato il disco a metà, ma questa è un’altra storia.

Veniamo ad oggi. Dopo lo scazzo post- arene di Batman, la vita ha iniziato ad essere grigia. I sapori erano meno intensi, la voglia di alzarsi al mattino scemava sotto i pesanti colpi della noia. Situazione tipo del gamer che non ha sotto mano titoli succosi da giocare. Quasi in punta di piedi, dopo averlo scaricato dal Marketplace, non chiedetemi perché, ho deciso di rimettere dentro Bayonetta. Per prima cosa, essendo abituato ormai ai movimenti leggermente da paraplegico del buon Batman, sono rimasto quasi sopraffatto dalla velocità e della frenesia dei combattimenti, tipica caratteristica degli hack’n slash giapponesi, sono stato anche abbagliato dai colori luminosi, sono anche stato aperto in due da un paio di boss. Certo è che a differenza di quando lo provai la prima volta, il gioco mi è subito parso davvero ottimo, tanto da bruciare i primi quattro capitoli senza neanche accorgermene. Evitando ovviamente a testa bassa la storia, abbastanza orrida, il gioco si focalizza principalmente su pugno, pugno, calcio – calcio, calcio, pugno – combo, combo, spara – sderena questo, sderena quello. E grazia a Dio è tutto qui. In un’era in cui gli sviluppatori cercano sempre di più la definizione psicologica del protagonista, spiattellando su schermo le sue paure e cercando di umanizzare all’estremo determinati contesti, Bayonetta si propone come valida alternativa “sfonda culi senza pensarci troppo”.  Un bel gioco con comandi abbastanza immediati ed un gameplay fluido e una telecamera che, se non può essere definita di certo spettacolare, almeno è una spanna sopra tutte le altre produzioni giapponesi di questo genere. Lontani anni luce dalla malattia mentale di Davil May Cry 4, il gioco si snoda tra intricate combo e fantasiosi e cazzutissimi boss, oltre ad un character design di primo livello. Se oltre a questo si considera che ho pure fatto il culo allo stimato Doc23 che il gioco l’ha millato (…….), è facile capire come per me Bayonetta sia stato un fantastico titolo da riscoprire, che mi terrà incollato ancora per svariate ore alla 360. Certo, sto giocando il titolo a normale, mica a SUPER GESU’ DIVINO SUPA PAUA. Fossi coglione.

p.s: mentre cercavo la foto per l’articolo su Google Immagini, scrivendo “Bayonetta” uno dei risultati proposti era “Bayonetta Feet” se uno dei disagiati mentali che hanno inserito queste parole nel motore di ricerca è tra voi che legge, per cortesia alzi la mano. Conosco uno bravo. Fottuti nerd del ventunesimo secolo.

Japan hates us all: descrizione.

Sicuramente a tutti voi è capitato, almeno una volta nella vita, di giocare almeno ad un titolo proveniente dal Giappone. Mi riferisco ai vari Final Fantasy, Street Fighter, Ninja Gaiden e la lista potrebbe andare avanti all’infinito. Dobbiamo molto all’industria dei videogame nipponica, se non tutto: probabilmente, senza la loro ispirata visione del videogaming, staremmo ancora giocando con quelle due fottute asticelle su schermo verde.

Premetto anche che io non amo particolarmente i titoli “Made in Japan”. Sono pigro. Lo ammetto.

Il luogo comune più diffuso è: gioco giapponese = gioco difficile e, dalla mia esperienza, ormai quasi ventennale, è un luogo comune fottutamente azzeccato. Ogni titolo orientale è un casino mostruoso, un concentrato di bestemmie fotoniche e joypad incastonati nel muro. La carogna che sale giocando ad alcuni titoli è troppo anche per il giocatore più smaliziato e le cose, per il completista malato di mente, sono addirittura da ricovero per convulsioni e/o attacchi di isterismo. Millare, per dire Ninja Gaiden, è un privilegio di pochissimi, selezionati eletti. Personalmente non ne conosco nessuno. Giocare online (e ottenere i relativi obiettivi) a Street Fighter 4, specialmente se si ha la sfiga di beccare un avversario giapponese, è semplicemente impensabile: neanche il tempo di premere un tasto e il nostro ano sarà divelto senza gentilezza. Millare Devil May Cry 4 è impresa più divina che eroica. Cercare di mantenere un contegno di fronte all’assurda difficoltà di Dark Solus è a livelli di disagio mentale preoccupante.

Tutto vero, tutto collaudato.

Ma la vera domanda è: sono i giapponesi ad essere fuori di testa o siamo noi, con il tempo e con l’età a diventare dei super nabbi?

I giocatori di vecchia data avranno sicuramente in mente i vecchi giochi anni 80 – 90. Quelli si che erano davvero giochi con cui impazzire. La difficoltà media in quel periodo era davvero mostruosa. Se avete qualche dubbio, scaricatevi dal Live la “Game Room”, una mirabolante raccolta di giochi arcade d’epoca. Vi sfido a giocare per due ore di fila senza avere la schiuma alla bocca.

Provando questi giochi ci si rende immediatamente conto di quanto la difficoltà media di un titolo si sia abbassata con gli anni. A ben vedere, i game nipponici sono gli unici che hanno mantenuto un livello di sfida costante durante gli anni, rimanendo fedeli al concetto che per finire un gioco, bisogna guadagnarselo. Ancora peggio, se vuoi millare un titolo Made in Japan devi essere pronto a sputare sangue per svariate centinaia di ore.

IO NO. Si fottano i 1000 G se ogni volta che mi accosto ad uno di questi titoli, devo far partire scatole di Xanax come fossero Zigulì. Preferisco stare nel mio comodo orticello occidentale, costellato di giochi medi per l’uomo medio, senza necessariamente andare a scadere nei vari titoli per bimbiminchia, tristemente giocati da ultra trentenni per ringalluzzire il gamerscore.

In definitiva: Giappone, ti stimo e apprezzo in egual misura ma non fai per me.